“I genitori ti partoriscono, ma sei tu che devi farti nascere.”
Una stanza piena di persone emozionate, sedute intorno a uno spazio condiviso. Ai miei occhi lo spazio sembra vuoto, eppure una parte di me resiste all’idea di attraversarlo. Per raggiungere la mia sedia, però, sono costretta a farci qualche passo dentro, e allora mi investe l’energia che lo pervade, forte come un campo elettromagnetico. Sorrido, quella tensione non mi è nuova. È la stessa che chiunque può percepire prendendo posto intorno al tavolo di una cena ancora da servire, oppure osservando un palcoscenico sgombro mentre il pubblico entra in sala, o ancora ascoltando il silenzio poco prima del fischio di inizio di una gara sportiva. Si alimenta dei bisogni, dei desideri e delle aspettative di ogni persona che oggi è giunta fin qui – in certi casi viaggiando centinaia di migliaia di chilometri lungo la penisola – per unirsi all’evento, e che adesso sta aspettando; aspetta, tenendo ancora un po’ nel petto la propria storia e le proprie domande senza risposta, perché sa che, di lì a pochi minuti e proprio in quello spazio al centro, vedrà mettere in scena rappresentazioni simboliche personali di dolore e di amore, ciascuna delle quali verrà realizzata grazie a una guida d’eccezione, che condurrà il lavoro mettendo a disposizione una sensibilità e una competenza decisamente rare.
Finalmente la Dottoressa arriva, prende posto nel cerchio e il seminario ha inizio. Conoscevo già il suo nome ma non il suo luminoso carisma: tutto in Silvia Vannozzi trasmette sicurezza e apertura; il suo modo di comunicare, mettersi in ascolto e trattare gli altri instaura da subito un’atmosfera costruttiva, carica di fiducia e intimità. La psicologa è famosa per la sua bravura nella terapia integrata, un approccio che, come lei stessa racconta nell’intervista Il Viaggio dell’Anima, non rappresenta unicamente una scelta professionale ma il frutto di una serie di incontri ed esperienze di vita: la missione di Silvia Vannozzi è (ed è sempre stata) quella di aiutare le persone, mettendo loro a disposizione strumenti diversi per ricostruire i propri i confini e imparare ad amarsi. In decenni di percorso, si è avvicinata alle neuroscienze come al Kriya Yoga, ha appreso tecniche di terapia cognitiva ma anche di Mindfulness, meditazione, comunicazione non-violenta, Reiki. Tra i metodi che attualmente impiega per ad assistere persone di tutte le età nel superare traumi, problemi di relazione, disturbi d’ansia e molto altro, c’è anche quello delle Costellazioni Familiari e Sistemiche, che la dottoressa ha imparato dall’inventore Bert Hellinger, psicologo tedesco, e da uno dei suoi migliori allievi italiani, Attilio Piazza. Ed è proprio per assistere al suo modo di usare la tecnica – e, su richiesta, farsi “costellare” – che tanta gente ha preso parte al seminario.
La dottoressa apre la sessione del primo giorno, aperta anche ai curiosi, con una breve ma interessante introduzione teorica, necessaria per assistere al lavoro con maggiore consapevolezza.
Ci spiega che le Costellazioni Familiari prendono spunto dalle teorie sul campo morfogenetico e la mente estesa del biologo britannico Rupert Sheldrake, e che propongo una visione sistemica delle relazioni familiari, grazie alla quale è possibile risalire lungo le linee genealogiche di ogni individuo alla ricerca di “codici”, ovvero schemi che si ripetono. Secondo Hellinger ogni famiglia trasmette ai suoi discendenti, sia tramite parentele di sangue che acquisite, una serie di informazioni e di pattern specifici; accade però che questi pattern, se distruttivi o disfunzionali, possano ostacolare o inibire il “flusso dell’amore” che dovrebbe scorrere, “a cascata”, dai membri più anziani agli ultimi nati. La violazione di questa gerarchia naturale – per esempio qualora un genitore, invece di dare, chieda troppo al figlio, costringendolo a “genitorializzarsi” – così come l’esclusione di un membro della famiglia o il nascondimento di un evento traumatico, sono solo alcuni dei fattori che possono determinare uno scompenso nel sistema familiare e quindi causare il perpetrarsi di sofferenze e di errori passati.
Le Costellazioni Familiari offrono la possibilità di individuare questi ostacoli, siano essi ereditati da lontano o trasmessi per via diretta, e di compiere un passo verso la liberazione dagli schemi nocivi che ci imprigionano. Inoltre, aiutano a comprendere meglio il nostro mondo interiore – legato a doppio filo al campo familiare – in tutti i suoi aspetti, anche quelli più oscuri e conflittuali. Infine, spingono a mettere in discussione l’immagine fissa che abbiamo dei nostri cari per renderla più realistica e sfaccettata. Uno degli obiettivi principali delle Costellazioni Familiari è infatti proprio la riconciliazione. Per superare il passato, abbiamo bisogno innanzitutto di abbracciare l’umanità imperfetta dei nostri genitori, accoglierli nel nostro cuore, senza desiderarli diversi da come sono o sentirci superiori a loro. In questo senso le Costellazioni Familiari ripropongono l’importanza del perdonare noi stessi e gli altri: non si tratta però di un perdono formale, per principio, ma un’azione che ci porta a riprendere contatto con l’amore e a far fluire la vitalità che ci ha generati, e che lega tutte le famiglie come raggruppamenti di astri.
In seguito ho prova dell’efficacia terapeutica e trasformativa della tecnica quando, terminata la teoria, la Dottoressa passa alla parte pratica del seminario. Non appena il primo “costellato” prende posto accanto a lei e racconta la storia che lo ha portato lì, lo spazio al centro diventa uno scenario, in cui il “costellato” invita alcuni astanti sconosciuti, chiamati a interpretare un ruolo nella sua storia familiare. Ed è così che, persona dopo persona, assisto a quella che Vannozzi chiama “rappresentazione tridimensionale del subconscio”.
Conosco già il ricorso a questa tipologia di tecnica, affine al cosiddetto psicodramma e utilizzata in vari metodi terapici, ma la versione che vedo mettere in campo è davvero potente: perché risveglia un immaginario collettivo antico; perché permette di esplicitare in maniera immediata e concreta rapporti, vissuti, emozioni che fino a quel momento sono rimasti impliciti; perché si rivela molto coinvolgente e catartico anche per chi si presta a interpretare un piccolo ruolo silenzioso. Oltre a ciò, c’è la capacità notevole di Silvia Vannozzi, sensibile e mai giudicante, che guida il gioco tra le parti con un rispetto straordinario, assicurandosi ogni istante di tutelare il “costellato”, proteggendo i suoi confini, il suo benessere e la sua volontà nel praticare la tecnica. Sotto la direzione della Dottoressa, ogni protagonista riesce a richiamare, anche solo in minima parte, l’amore e gli altri sentimenti che prova, e a tornare a casa con una maggiore consapevolezza di sé e con un punto di vista diverso sulla propria storia.
Alla fine del seminario, anche io porto qualcosa via con me: la rinnovata convinzione che tutti abbiamo il diritto di padroneggiare la nostra narrazione, e che le Costellazioni Familiari possano essere uno strumento efficace per farlo. La tecnica mi ha rammentato una verità fondamentale per Nathivia: siamo tutti connessi e facciamo parte di un’infinita, meravigliosa matrioska di sistemi. Questa certezza non deve però farci sentire prigionieri dei nostri legami, ma piuttosto invogliarci a conoscere di più profondamente di chi siamo e da dove veniamo. Come dice la dottoressa Silvia Vannozzi, per andare avanti nella vita dobbiamo portare nel cuore chi ci ha partorito per poter rinascere, mettendo al mondo una nuova e più evoluta versione di noi stessi.
scritto da Sofia E.